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COME COMINCIA

 

Benvenuti! Mi chiamo Agata, ho 39 anni e nel 2015 mi è stato diagnosticato un tumore al seno. Scritta in questo modo sembra faccia parte di un gruppo tipo alcolisti anonimi, e forse, in parte è così. Ma non dobbiamo dimenticare che chiunque ha avuto a che fare con il cancro, direttamente o indirettamente. Sentirsi “diverse” o “sfigate” o chiedersi “perchè a me” sono atteggiamenti che non aiutano. E ve lo scrive una che se deve guardare il bicchiere, lo vede(va) quasi sempre mezzo vuoto.

Parte 1: prima della malattia

Prima della diagnosi la mia vita trascorreva tra lavori precari1, poca attività fisica, tanti dolci, buone amiche, un fidanzato2 con cui pensavo di costruire un solido rapporto di coppia e una madre pessimista e lamentosa di cui prendermi cura. Mio padre era morto per un tumore ai polmoni quando avevo 15 anni, per cui credevo di aver dato abbondantemente per la legge del contrappasso. Caratterialmente sono sempre stata molto incerta, molto paurosa e molto ansiosa, non avrei preso una medicina neanche sotto tortura, ed ero contrarissima alla chemioterapia. Non rientrando nell’età della Prevenzione Serena3 per la mammografia, da un paio di anni mi sottoponevo all’ecografia mammaria  - a mie spese - su suggerimento di una ginecologa, perchè mia nonna materna aveva avuto un tumore al seno. Da un po’ di tempo mi ero accorta di un rigonfiamento strano, ma essendo il mio seno pieno di cisti, non ci feci caso più di tanto.
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CURIOSITA’

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Parte 4: quel che è meglio per te

Parte 2: Scoperta, Diagnosi, Rifiuto della Malattia (da parte di mia madre) e accettazione

Quando tutto mi fu chiaro, dopo lo shock iniziale, dopo i pianti, e dopo le crisi isteriche, mi fermai e mi attrezzai emotivamente per quanto meglio potevo. Partii da me: misi me stessa al centro del mio mondo e della mia vita, facendomi brevi discorsi di incoraggiamento. C’è l’avrei fatta sicuramente. Non ero in pericolo di vita. L’intervento sarebbe andato bene. Ero sana. Soprattutto quest’ultima frase, riuscii a inculcarmela in testa grazie al fatto che non avevo alcun sintomo, per fortuna, nessun dolore. L’importante era esserne convinti, fino a crederci, fino a far credere al tuo cervello e al tuo corpo di stare bene. Non mi sono mai considerata malata. Agire e pensare come se fosse così. Entrai nella Brest Unit, il “percorso unico diagnostico, terapeutico e assistenziale che accompagna la donna colpita da tumore al seno”, così viene definito dalla Regione Piemonte. In realtà, vieni sballottata da un ospedale all’altro, da un esame all’altro per capire quale tipo di tumore hai, qual è il tuo stato di salute, quale intervento conviene fare. Entri in un ingranaggio fatto di step, insieme ad altre “colleghe” con il tuo stesso problema. Ma l’importante è attrezzarsi. A ogni esame, a ogni medico, chiedevo il tipo di esame a cosa serviva e in genere mi presentavo con una lista di domande se avevo dei dubbi. A volte andava bene, trovavo medici comprensivi, a volte no. E in quel caso cercavo altre soluzioni, altri medici, altri infermieri. Il passaparola e i contatti sono importanti, anche in queste situazioni. Chiedete sempre e comunque a chiunque reputate che possa aiutarvi a dipanare la nebbia  nella vostra testa. Ricordatevi che la vita è vostra e se non ve ne occupate voi in prima persona nessuno lo farà.

Parte 3: i discorsi allo specchio, la Brest Unit e le domande

LA NUOVA VITA
Il 31 marzo 2015 cambiò la mia esistenza. Andai a fare l’ecografia mammaria in un centro diagnostico e da lì si vide che qualcosa non andava. Il dottore mi fece ritornare nel pomeriggio per la mammografia, la prima della mia vita. L’esame confermò quel che io e il medico sospettavamo: avevo un cancro. Il   ricordo   di   quel   giorno   è   piuttosto   confuso,   così   come   quello   che   feci   nei   giorni   successivi.   Quel   che   però   ricordo   bene,   fu   la   reazione   che   ebbero   mia   madre   e   il mio   fidanzato   di   allora,   quando   comunicai   la   prima   parte   dell’esito,   in   cui   poteva   esserci   qualcosa   di   grave.   Mia   madre   fece   finta   di   non   capire,   o   non   capì,   e   vista   la sua   attitudine   al   pessimismo,   quando   ebbi   la   certezza   di   quel   che   avevo,   le   nascosi   tutto   fino   a   poco   prima   dell’intervento:   non   avrei   di   certo   potuto   gestire   la   sua paura,   perchè   dovevo   pensare   alla   mia.   Il   mio   “fidanzato”,   invece,   mi   sgridò,   perchè   pensavo   sempre   al   peggio.   In   ogni   caso,   quando   ebbe   conferma,   non   mi consolò,   non   mi   supportò   e   non   mi   diede   coraggio.   Nei   giorni   seguenti,   quando   mi   sottoposi   alla   biopsia   ed   ebbi   il   risultato   ufficiale,   solo   allora   io   presi   coscienza   di quel che mi stava capitando. E da quel momento l’istinto di sopravvivenza e l’adrenalina fecero il resto.

Parte 5:

visite ed esami, e ancora visite ed esami

Entrare nel circuito “Brest Unit” significa essere letteralmente “rivoltata come un calzino”, dalla testa ai piedi. Analisi    del    sangue,    risonanze    magnetiche,    visite    senologiche,    ecografie ovunque   e   di   qualsiasi   tipo,   e   altri   tipi   di   esami   specifici   di   cui   vi   risparmio l’elenco,    servono    per    capire    il    tipo    di    l’alieno    che    hai    generato,    ma soprattutto   se   si   è   fermato   li   oppure   se   ha   deciso   di   farsi   un   viaggetto attraverso   i   tuoi   vasi   linfatici   e   trovare   posti   ancora   più   confortevoli   per accamparsi oltre al tuo seno sinistro. Un   consiglio   spassionato:   fatevi   accompagnare   da   qualcuno   che   vi   possa incoraggiare!    Lasciate    i    pesi    morti    a    casa,    non    vi    servono    in    questi momenti. Le   visite   e   gli   esiti   degli   esami   a   cui   vi   sottoponete   vi   concentreranno emotivamente     ed     energeticamente.     Se     vi     ritrovate     con     un     marito brontolone,   lasciatelo   a   casa.   Andate   con   l’amica   o   con   la   cugina   pazza,   o con   la   vicina   di   casa.   Vi   serve   positività   e   incoraggiamento,   non   un   marito che vi chiede cosa preprarerete a pranzo dopo la visita!

Parte 6:

dalla quadricectomia alla mastectomia

Fortunatamente,    l’alieno    che    aveva    piantato    le    tende    nel    mio    seno sinistro     era     piuttosto     timido,     circoscritto,     e     non     aveva     manie     di espansione,   Quindi,   dopo   l’ennesima   visita   mi   confermarono   che   il   tipo di    intervento    sarebbe    stato    una    “semplice    quadricectomia”:    togliere quello    che    non    era    sano.    Ma    nel    giro    di    un    mese,    dopo    la    fatidica risonanza   magnetica   che   diede   persino   un   falso   positivo,   passai   da   un intervento   di   “semplice   quadricectomia”   a   una   “mastectomia   semplice”: l’alieno non aveva manie di espansione, ma di grandezza si. Inutile    scrivervi    che    l’idea    non    mi    riempiva    per    nulla    di    gioia,    e    a proposito   di   riempire,   avrebbero   sostituito,   nello   stesso   intervento,   la parte   malsana   con   una   bella   protesi   al   silicone,   ovviamente   preparata   ad hoc per la mia taglia e il fisico. Ma   ho   pensato:   si   pulisce   tutto,   ancora   più   a   fondo,   con   meno   rischi   di recidiva   localizzata   (mi   sono   informata,   come   da   brava   ansiosa,   sia   con   i medici,   sia   facendo   le   mie   ricerche),   ma   soprattutto   mi   sarei   evitata   la dolorosissima mammografia, almeno su un lato!

Parte 7: andate al blog!

“La cattiva notizia č che il tempo vola.  La buona notizia č che sei tu il pilota”  Michael Althsuler
A   volte   il   destino   ha   uno   strano   modo   di farci   notare   le   coincidenze…   Per   chi   non   lo sapesse,    Sant’Agata    è    la    protettrice    delle malattie    legate    al    seno    perchè    è    stata martirizzata       con       l’asportazione       delle mammelle.     Ovviamente     i     miei     genitori decisero   di   scegliere   questo   nome   perchè era     il     nome     di     mia     nonna     paterna. Sicuramente    sono    stata    più    fortunata    di chi è stata chiamata Addolorata!
Pensado   che   mi   sentivo   proprio   in   balia   di una     tempesta,     come     appassionata     di cinema   mi   venne   in   mente   un   film   che   vidi molti     anni     fa     dal     titolo     “Agata     e     la tempesta”. Una   commedia   leggera   e   divertente,   dove la   protagonista,   Agata,   era   talmente   piena di   energie   da   far   saltare   le   lampadine   e fulminare    i    tostapani.    Ecco,    io    non    sono esattamente così ma a volte mi ci avvicino!
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COME COMINCIA

 

Benvenuti! Mi chiamo Agata, ho 39 anni e nel 2015 mi è stato diagnosticato un tumore al seno. Scritta in questo modo sembra faccia parte di un gruppo tipo alcolisti anonimi, e forse, in parte è così. Ma non dobbiamo dimenticare che chiunque ha avuto a che fare con il cancro, direttamente o indirettamente. Sentirsi “diverse” o “sfigate” o chiedersi “perchè a me” sono atteggiamenti che non aiutano. E ve lo scrive una che se deve guardare il bicchiere, lo vede(va) quasi sempre mezzo vuoto.

Parte 1: prima della

malattia

Prima della diagnosi la mia vita trascorreva tra lavori precari1, poca attività fisica, tanti dolci, buone amiche, un fidanzato2 con cui pensavo di costruire un solido rapporto di coppia e una madre pessimista e lamentosa di cui prendermi cura. Mio padre era morto per un tumore ai polmoni  quando avevo 15 anni, per cui credevo di aver dato abbondantemente per la legge del contrappasso. Caratterialmente sono sempre stata molto incerta, molto paurosa e molto ansiosa, non avrei preso una medicina neanche sotto tortura, ed ero contrarissima alla chemioterapia. Non rientrando nell’età della Prevenzione Serena3 per la mammografia, da un paio di anni mi sottoponevo all’ecografia mammaria  - a mie spese - su suggerimento di una ginecologa, perchè mia nonna materna aveva avuto un tumore al seno. Da un po’ di tempo mi ero accorta di un rigonfiamento strano, ma essendo il mio seno pieno di cisti, non ci feci caso più di tanto.
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Parte 2:

Scoperta, Diagnosi,

Rifiuto della Malattia

(da parte di mia madre)

e accettazione

Il    31    marzo    2015    cambiò    la    mia    esistenza.    Andai    a    fare l’ecografia   mammaria   in   un   centro   diagnostico   e   da   lì   si   vide che qualcosa non andava. Il     dottore     mi     fece     ritornare     nel     pomeriggio     per     la mammografia,   la   prima   della   mia   vita.   L’esame   confermò quel che io e il medico sospettavamo: avevo un cancro. Il    ricordo    di    quel    giorno    è    piuttosto    confuso,    così    come quello   che   feci   nei   giorni   successivi.   Quel   che   però   ricordo bene,    fu    la    reazione    che    ebbero    mia    madre    e    il    mio fidanzato    di    allora,    quando    comunicai    la    prima    parte dell’esito,   in   cui   poteva   esserci   qualcosa   di   grave.   Mia   madre fece   finta   di   non   capire,   o   non   capì,   e   vista   la   sua   attitudine al   pessimismo,   quando   ebbi   la   certezza   di   quel   che   avevo, le   nascosi   tutto   fino   a   poco   prima   dell’intervento:   non   avrei di   certo   potuto   gestire   la   sua   paura,   perchè   dovevo   pensare alla    mia.    Il    mio    “fidanzato”,    invece,    mi    sgridò,    perchè pensavo    sempre    al    peggio.    In    ogni    caso,    quando    ebbe conferma,   non   mi   consolò,   non   mi   supportò   e   non   mi   diede coraggio.    Nei    giorni    seguenti,    quando    mi    sottoposi    alla biopsia    ed    ebbi    il    risultato    ufficiale,    solo    allora    io    presi coscienza    di    quel    che    mi    stava    capitando.    E    da    quel momento   l’istinto   di   sopravvivenza   e   l’adrenalina   fecero   il resto.

Parte 3:

i discorsi allo specchio,

la Brest Unit e le domande

Quando   tutto   mi   fu   chiaro,   dopo   lo   shock   iniziale,   dopo   i pianti,   e   dopo   le   crisi   isteriche,   mi   fermai   e   mi   attrezzai emotivamente    per    quanto    meglio    potevo.    Partii    da    me: misi   me   stessa   al   centro   del   mio   mondo   e   della   mia   vita, facendomi    brevi    discorsi    di    incoraggiamento.    C’è    l’avrei fatta   sicuramente.   Non   ero   in   pericolo   di   vita.   L’intervento sarebbe   andato   bene.   Ero   sana.   Soprattutto   quest’ultima frase,   riuscii   a   inculcarmela   in   testa   grazie   al   fatto   che   non avevo      alcun      sintomo,      per      fortuna,      nessun      dolore. L’importante   era   esserne   convinti,   fino   a   crederci,   fino   a   far credere   al   tuo   cervello   e   al   tuo   corpo   di   stare   bene.   Non   mi sono    mai    considerata    malata.    Agire    e    pensare    come    se fosse così. Entrai    nella    Brest    Unit,    il    “percorso    unico    diagnostico, terapeutico    e    assistenziale    che    accompagna    la    donna colpita    da    tumore    al    seno”,    così    viene    definito    dalla Regione     Piemonte.     In     realtà,     vieni     sballottata     da     un ospedale   all’altro,   da   un   esame   all’altro   per   capire   quale tipo    di    tumore    hai,    qual    è    il    tuo    stato    di    salute,    quale intervento   conviene   eseguire.   Entri   in   un   ingranaggio   fatto di    step,    insieme    ad    altre    “colleghe”    con    il    tuo    stesso problema. Ma l’importante è attrezzarsi. A ogni esame,   a   ogni   medico,   chiedevo   il   tipo   di   esame   a   cosa serviva    e    in    genere    mi    presentavo    con    una    lista    di domande   se   avevo   dei   dubbi.   A   volte   andava   bene,   trovavo medici   comprensivi,   a   volte   no.   E   in   quel   caso   cercavo   altre soluzioni,    altri    medici,    altri    infermieri.    Il    passaparola    e    i contatti     sono     importanti,     anche     in     queste     situazioni. Chiedete    sempre    e    comunque    a    chiunque    reputate    che possa    aiutarvi    a    dipanare    la    nebbia        nella    vostra    testa. Ricordatevi   che   la   vita   è   vostra   e   se   non   ve   ne   occupate   voi in prima persona nessuno lo farà.

Parte 4:

quel che è meglio per te

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Parte 5:

visite ed esami,

e ancora visite ed esami

Entrare      nel      circuito      “Brest      Unit”      significa      essere letteralmente   “rivoltata   come   un   calzino”,   dalla   testa   ai piedi. Analisi      del      sangue,      risonanze      magnetiche,      visite senologiche,   ecografie   ovunque   e   di   qualsiasi   tipo,   e   altri tipi   di   esami   specifici   di   cui   vi   risparmio   l’elenco,   servono per    capire    il    tipo    di    l’alieno    che    hai    generato,    ma soprattutto   se   si   è   fermato   li   oppure   se   ha   deciso   di   farsi un   viaggetto   attraverso   i   tuoi   vasi   linfatici   e   trovare   posti ancora   più   confortevoli   per   accamparsi   oltre   al   tuo   seno sinistro. Un     consiglio     spassionato:     fatevi     accompagnare     da qualcuno   che   vi   possa   incoraggiare!   Lasciate   i   pesi   morti a casa, non vi servono in questi momenti. Le   visite   e   gli   esiti   degli   esami   a   cui   vi   sottoponete   vi concentreranno   emotivamente   ed   energeticamente.   Se vi   ritrovate   con   un   marito   brontolone,   lasciatelo   a   casa. Andate   con   l’amica   o   con   la   cugina   pazza,   o   con   la   vicina di   casa.   Vi   serve   positività   e   incoraggiamento,   non   un marito   che   vi   chiede   cosa   preprarerete   a   pranzo   dopo   la visita!

Parte 6:

dalla quadricectomia

alla mastectomia

Fortunatamente,   l’alieno   che   aveva   piantato   le   tende   nel mio   seno   sinistro   era   piuttosto   timido,   circoscritto,   e   non aveva   manie   di   espansione,   Quindi,   dopo   l’ennesima   visita mi   confermarono   che   il   tipo   di   intervento   sarebbe   stato una   “semplice   quadricectomia”:   togliere   quello   che   non   era sano.   Ma   nel   giro   di   un   mese,   dopo   la   fatidica   risonanza magnetica   che   diede   persino   un   falso   positivo,   passai   da   un intervento       di       “semplice       quadricectomia”       a       una “mastectomia     semplice”:     l’alieno     non     aveva     manie     di espansione,   ma   di   grandezza   si.   Inutile   scrivervi   che   l’idea non    mi    riempiva    per    nulla    di    gioia,    e    a    proposito    di riempire,   avrebbero   sostituito,   nello   stesso   intervento,   la parte   malsana   con   una   bella   protesi   al   silicone,   ovviamente preparata   ad   hoc   per   la   mia   taglia   e   il   fisico.   Ma   ho   pensato: si    pulisce    tutto,    ancora    più    a    fondo,    con    meno    rischi    di recidiva    localizzata    (mi    sono    informata,    come    da    brava ansiosa,   sia   con   i   medici,   sia   facendo   le   mie   ricerche),   ma soprattutto   mi   sarei   evitata   la   dolorosissima   mammografia, almeno su un lato!

Parte 7: andate al blog!

CURIOSITA’

A   volte   il   destino   ha   uno   strano   modo   di   farci   notare   le coincidenze…    Per    chi    non    lo    sapesse,    Sant’Agata    è    la protettrice    delle    malattie    legate    al    seno    perchè    è    stata martirizzata        con        l’asportazione        delle        mammelle. Ovviamente    i    miei    genitori    decisero    di    scegliere    questo nome     perchè     era     il     nome     di     mia     nonna     paterna. Sicuramente    sono    stata    più    fortunata    di    chi    è    stata chiamata Addolorata!
Pensado   che   mi   sentivo   proprio   in   balia   di   una   tempesta, come   appassionata   di   cinema   mi   venne   in   mente   un   film che vidi molti anni fa dal titolo “Agata e la tempesta”. Una   commedia   leggera   e   divertente,   dove   la   protagonista, Agata,    era    talmente    piena    di    energie    da    far    saltare    le lampadine    e    fulminare    i    tostapani.    Ecco,    io    non    sono esattamente così ma a volte mi ci avvicino!

SANT’AGATA

AGATA E LA TEMPESTA

“La cattiva notizia  č che il tempo vola.  La buona notizia  č che sei tu il pilota”  Michael Althsuler
LA NUOVA VITA